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Progetto di Programma del Partito Comunista Italiano (ricostituito)
Pubblichiamo stralcio dal Progetto di Programma del Partito Comunista
Italiano (ricostituito) elaborato dalla Commissione per la elaborazione
e la stesura del progetto di programma del partito comunista, a cura di
Questioni del Socialismo, 2001
La crisi generale del sistema capitalistico e il declino della borghesia imperialista
Nel mondo del lavoro, dove si crea la ricchezza materiale per lo
sviluppo sociale ed economico, le contraddizioni del capitale si
scoprono rovinose. Se le statistiche insistono sul recupero della
produttività, che tradotto in termini sociali corrisponde alla
diminuzione dell'occupazione e all'aumento dello sfruttamento, per
contro la dinamica salariale e delle pensioni rimane al di sotto della
percentuale di inflazione:cresce il numero degli infortuni mortali e
degli invalidi permanenti da lavoro; aumenta la massa dei precari, dei
sottopagati, dei lavoratori senza la minima tutela. La campagna
martellante sulla flessibilità del mercato del lavoro e sulla
competitività delle imprese, è la metafora della dichiarazione di guerra
del padronato contro i diritti dei lavoratori, in difesa dei quali i
sindacati oppongono solo una tenue resistenza verbale. La politica
economica dei governi, siano essi marcatamente moderati o di profilo
riformista, si può ricondurre. con sfumature diverse, agli interessi
della borghesia imperialista. In queste condizioni, i governi sono
destinati a rimanere ostaggio delle multinazionali e delle banche, e,
proporzionalmente al crescere dello strapotere dei monopoli, tendono a
diventarne direttamente l'esecutivo politico. Il processo di
acutizzazione della crisi non può estendersi ulteriormente nell'ambito
delle attuali forme istituzionali, del sistema normativo e
rappresentativo. Il capitale ha bisogno di liberarsi da ogni sorta di
vincolo per potersi espandere, per poter soggiogare il proletariato,
mentre nell'ordinamento sociopolitico attuale vede ormai una forte
limitazione. La corsa al superamento dello stato sociale, alla
deregolamentazione, alla ricerca di formule istituzionali per mantenere
al potere una classe screditata e parassitaria, cresce parallelamente
allo sviluppo della crisi socioeconomica.
La fine dell'URSS ha generato una violenta scossa nell'assetto
socioeconomico del mondo intero e gli effetti a catena non hanno tardato
a manifestarsi: una crisi profonda, generale, ha investito
immediatamente un gran numero di paesi; il movimento di liberazione
nazionale ha subito uno sbandamento grave dall'Africa all'America
Latina; il capitalismo ha messo in moto un processo di ristrutturazione
per adeguare le regole del libero mercato alla nuova situazione
internazionale; diversi partiti di tradizione operaia, formalmente
antagonisti al sistema capitalistico, hanno completato definitivamente
la metamorfosi in partiti di stampo liberale. Con l'avallo della
sinistra riformista sono state varate una serie di leggi che colpiscono
le pensioni ed erodono i diritti dei lavoratori, i bilanci dello Stato
sono stati tagliati a scapito della previdenza, delle prestazioni
sanitarie e del diritto all'istruzione. Il welfare, nonostante i dati
diffusi sulla crescita del prodotto interno lordo, nonostante gli
incrementi dei profitti delle imprese, nonostante la produzione
industriale registri costanti aumenti, nonostante la disponibilità
liquida di enormi capitali che si trasferiscono da una borsa all'altra,
pare sia diventato un lusso che i paesi più ricchi del mondo non possono
permettersi! Tra le questioni emergenti del processo di disgregazione
sociale, si distingue la questione dell'emigrazione, lo spostamento di
masse di persone dai paesi sottosviluppati verso i paesi
industrializzati. E' un problema che implica anche aspetti di ordine
pubblico, ma le cause e gli effetti pongono sotto accusa il caotico
sviluppo del capitalismo. Oggi l'immigrato è semplicemente uno strumento
a basso costo da introdurre nel ciclo produttivo (o da sfruttare
ignobilmente come oggetto di "piacere" per i cittadini alienati dal
grigiore culturale del capitale). La preoccupazione dei neomalthusiani
di controllare "la grande invasione" è controbilanciata dalla
considerazione che il mercato delle braccia offre manodopera a buon
prezzo. Lo squilibrio tra paesi industrializzati e paesi sottosviluppati
produce un flusso simmetrico di capitali e forza-lavoro che arricchisce
le multinazionali e trasforma i popoli in merce. L'esistenza di paesi
economicamente sottosviluppati, afflitti da situazioni di miseria
endemica, è il presupposto necessario perché gli Stati imperialisti
possano sottrarre risorse umane e materiali, imporre monocolture,
attuare una politica creditizia soffocante, impedire uno sviluppo
equilibrato ecologicamente compatibile, schiacciare con la repressione
ogni movimento di protesta contro le condizioni inumane di vita e di
lavoro, rientra precisamente nel metodo di dominio dell'imperialismo che
mantiene questi paesi in uno stato di assoggettamento paralizzante.
Nei paesi industrializzati la situazione di tensione sociale origina
grandi movimenti spontanei: operai dell'industria che lottano per la
salvaguardia dell'occupazione e per gli aumenti salariali, lavoratori a
riposo che protestano contro l'erosione del potere d'acquisto delle
pensioni; disoccupati organizzati che invocano una politica per la
creazione di posti di lavoro; studenti che manifestano per la difesa del
diritto all'istruzione; centri sociali e associazioni di varia natura
che contestano il sistema esprimendo il forte disagio di periferie
urbane degradate; ecologisti che esigono una seria attenzione ai
problemi ambientali; agricoltori e allevatori che denunciano con rabbia
la politica delle Iobby dell'alimentazione. In questa situazione di
malcontento generalizzato si inseriscono alcuni partiti politici il cui
intento è quello di dirottare le masse verso obiettivi completamente
distorti. Tutti i mezzi che la classe dominante utilizza per
condizionare il proletariato, per impedirgli di reagire razionalmente di
fronte al progressivo deterioramento dei rapporti sociali, possono solo
rallentare ma non impedire il processo di decadimento della formazione
capitalistica che già volge al tramonto. Nel momento in cui i governanti
non saranno più in grado di governare, e i governati si porranno la
questione di sostituire i governanti e cambiare modo di governare, la
crisi del capitalismo avrà raggiunto il suo culmine.
La rivoluzione tecnica e scientifica nell'ambito del dominio della
borghesia imperialista, oggi dedita solamente al conseguimento del
massimo profitto economico al di là del lo sviluppo necessario e
compatibile con le risorse naturali che offre l'ecosistema, attrezza
incessantemente l' imperialismo per la sua brama insaziabile di potere e
di conquista, promuove la crisi generale del sistema, incapace di
governare le forze centrifughe che esso stesso alimenta. A questo punto
una domanda è d'obbligo: hanno fondamento le ragioni di coloro che oggi
ritengono il capitalismo un sistema sociale prossimo al collasso? Non
vorremmo commettere lo stesso errore di chi, nel movimento comunista
internazionale intorno alla metà del secolo appena trascorso, era
convinto che il capitalismo stesse per crollare. Una tale convinzione,
alimentata da una sorta di determinismo filosofico, oltre a rivelarsi
errata dal punto di vista temporale, ebbe delle conseguenze
assolutamente negative nella strategia e nella tattica dei partiti
comunisti sia al potere che all'opposizione. Tuttavia, oggi il quadro
della situazione si presenta sufficientemente chiaro e abbastanza
definito. Non si tratta di rilevare semplicemente i fatti, ma di
argomentare come dietro a questi fatti si muova la società e in quale
direzione. Nei paesi del capitale, dove la cibernetica, la robotica,
l'informatica e la telematica trovano larga applicazione nei processi di
produzione, il proletariato ha raggiunto una preparazione tecnica
relativamente elevata. L'allargamento della produzione di massa, la
disponibilità pressoché illimitata di ogni genere di consumo, rende
apparentemente credibile la diffusione di un benessere accessibile alla
maggioranza delle masse. Questo è il quadro che appare immediatamente
alla superficie della società dei consumi. Ma come ha insegnato Marx,
ogni scienza sarebbe superflua se i fenomeni coincidessero direttamente
con la loro essenza. Limitarsi a questo tipo di valutazioni, porrebbe
infatti l'osservatore in un angolo visuale angusto, poiché analizzerebbe
un complesso di fenomeni in modo acritico, attribuendo al capitalismo
una sembianza statica ed uniforme, che negherebbe lo stato attuale della
situazione generale a livello mondiale. In sostanza, il capitalismo
"dal volto umano" (se mai è esistito) è scomparso per sempre, con buona
pace dei vecchi e nuovi riformisti che tentano disperatamente di
temperare la barbara anarchia del libero mercato.
La sete di profitto dei monopoli, ovvero la sottomissione selvaggia
dell'uomo agli interessi del capitale, non conosce pudore, come dimostra
la vergognosa mercificazione di centinaia di milioni di bambini. Con
l'avanzamento rivoluzionario della scienza e della tecnica, che permette
alla produzione di immettere sul mercato masse sempre crescenti di
prodotti, le crisi da sovrapproduzione non possono che essere sempre più
acute e profonde. La tensione di tutte le contraddizioni generate da un
modo di produzione il cui obiettivo è solo il profitto (ovvero la
creazione dei valori di scambio) converge ineluttabilmente verso un
punto di rottura, chiamando il proletariato ad assumere il ruolo di
classe rivoluzionaria, che dirige la trasformazione verso un sistema
sociale nuovo, proiettato necessariamente alla soppressione della classe
degli sfruttatori. Anche se il capitale è riuscito temporaneamente a
guadagnare l'arretramento delle posizioni già conquistate dal
proletariato, tutte le gravi e insanabili contraddizioni che ne
determinano lo stato di strutturale instabilità permangono in vita nella
loro carica dirompente. Possiamo affermare che la controrivoluzione,
cioè la forza della reazione borghese che ha arginato la spinta
rivoluzionaria del proletariato, ha sospinto tali contraddizioni ad un
livello ancora più acuto, poiché ha reso macroscopico il solco di
disparità tra gli stati capitalistici più avanzati e il resto del mondo;
ha elevato all'ennesima potenza il carattere usuraio del capitale
finanziario; ha accentuato la crisi socioeconomica nei paesi di vecchia
industrializzazione con l'aumento della disoccupazione, del
depauperamento del proletariato, del tracollo inesorabile del sistema di
tutela sociale; ha trasformato i paesi che hanno abbandonato il
socialismo per restaurare il capitalismo, in terra di razzie per bande
di affaristi, avventurieri e malavitosi; ha aperto altri conflitti
armati in diverse aree del mondo. Nel volgere di un tempo relativamente
breve il capitalismo ha trasformato l'intero pianeta in un enorme
mercato per il reperimento delle materie prime e per lo sbocco dei
prodotti finiti, in una corsa esasperata verso il massimo profitto,
lasciando dietro di sé una tremenda scia di sangue. E ciò all'unico
scopo di asservire, sottomettere, schiavizzare popoli e nazioni. Il
leitmotiv del capitalismo contemporaneo rimane sostanzialmente identico,
non dissimula la legge del profitto che spinge il capitalista ad
estorcere il massimo valore aggiunto al lavoro dell'operaio, ad
escogitare sempre nuove soluzioni per contrastare la caduta tendenziale
del saggio di profitto, a considerare l'essere umano un accessorio del
ciclo di produzione, alla stessa stregua della macchina alla quale lo
incatenerebbe per un arco di tempo indeterminato se limiti fisiologici e
anagrafici non lo impedissero. Capitalisti e proletari sono perciò su
piani di confronto inconciliabili, e la lotta di classe, quale che sia
la forma e l'intensità che può assumere in un dato momento storico, non
può essere soppressa nel capitalismo poiché coincide col carattere
antinomico di questo modo di produzione. L'epoca dell'imperialismo, a
dispetto della fraseologia altisonante diffusa dagli ideologi della
borghesia sul valore universale della democrazia politica, lega
indissolubilmente la pratica rivoluzionaria della classe operaia alla
politica reazionaria delle classi dominanti. Nessun elemento di novità,
anche e soprattutto alla luce dei fatti che in questi ultimi anni hanno
stravolto i rapporti di forza tra capitale e lavoro, può negare questo
rapporto antitetico, che al contrario trova conferma nella logica
binaria rivoluzione/controrivoluzione proprio nel dispiegamento palese
della reazione nei paesi che avevano scalzato la borghesia come classe
dominante.
Il termine globalizzazione oggi è comunemente accettato come sinonimo
di interconnessione stretta tra le economie di tutti i paesi. Marx ed
Engels, già nel Manifesto del 1848, avevano colto la proporzione globale
dello sviluppo capitalistico. Nella fase attuale la dimensione
planetaria di tale fenomeno segna marcatamente la posizione subordinata
dei governi nazionali agli interessi dei capitali finanziari
internazionali, la cui politica di ingerenza diretta si sostituisce
gradualmente e palesemente agli organi del potere formale. Il capitale
continua incessantemente nell'opera di demolizione di ogni confine
nazionale, ridisegnando brutalmente le mappe geopolitiche del mondo,
abbatte ogni barriera che possa ostacolare il suo moto tentacolare.
Le nuove forme di accordi economici già realizzati, sottolineano la
direzione verso la quale i gruppi monopolistici intendono procedere per
ritagliarsi ulteriori spazi di azione, affrancandosi dai vincoli
normativi in materia di trasferimenti finanziari e di legislazione del
lavoro. La stessa Unione Europea, concepita sugli accordi economici e
finanziari di Maastricht e sulla moneta unica (che si propone come
antagonista al dominio mondiale del dollaro statunitense e dello yen
giapponese) si configura come una struttura sovranazionale dei poteri
delle lobby bancarie più influenti sotto le insegne dell'aquila
imperiale della Bundesbank. Responsabili in pectore dell'UE sono oramai
il presidente della banca centrale e il ministro delle finanze della
Repubblica Federale di Germania.
Le borse valori sono il sismografo che registra le oscillazioni dello
stato dell'economia che rileva le avvisaglie di un' onda sismica che non
potrà non abbattersi sui paesi capitalistici più industrializzati. Una
massa abnorme di capitale monetario vaga per i mercati mondiali alla
ricerca del capital gain che può solo ottenere con lo spietato attacco
al lavoro. Il volume dei capitali che viaggia da un capo all'altro dei
continenti, in forma di lucrosi investimenti industriali e di flussi
finanziari che muovono indici borsistici che si impennano o crollano,
denota inequivocabilmente quale è la strada che percorre la ricchezza
prodotta dai lavoratori. Sempre più frequentemente si raccolgono le
preoccupazioni degli stessi economisti della borghesia, che avanzano il
timore che si possa innescare una reazione a catena incontrollata, un
crac simile a quello che nel '29 avviò la fase di grande depressione del
capitalismo prima della seconda guerra mondiale. Significativo del
clima di incertezza è l'andamento di un indice borsistico separato, il
Nasdaq, che avrebbe lo scopo precipuo di evidenziare l'evoluzione della
new economy, un criterio moderno di gestire gli affari attraverso le
grandi potenzialità che offrono i sistemi integrati telematici. Ma aver
dotato il capitalismo di un "propulsore turbo" non è sufficiente per
mascherare lo squilibrio finanziario ed evitare le manovre speculative
che colpiscono le borse, anche se gli specialisti insistono sulla
'volatilità" del valore dei titoli, per giustificare la crisi del
settore. Le recenti crisi finanziarie di Messico, Russia, Brasile e di
altre importanti economie del sud-est asiatico hanno assunto, nel
volgere di breve tempo, estensioni vastissime; hanno evidenziato la
punta dell'iceberg di un fenomeno di proporzioni larghissime. Gli
istituti di credito internazionali, con a capo il FMI, una emanazione
diretta dei maggiori paesi industrializzati, finanziano le banche
centrali costrette ad intervenire a sostegno delle divise forte mente
svalutate per impedire il tracollo generalizzato delle proprie economie.
Le vittime innocenti di questo ignobile traffico di capitali dei gruppi
affaristici sono i popoli, i lavoratori, i proletari, che vedono
drasticamente ridursi il loro tenore di vita per le manovre dei governi
centrali che, per volere del FMI, adottano misure restrittive, tagliando
il bilancio dello Stato, privatizzando e liberalizzando il "mercato del
lavoro". Guerre civili, criminalità organizzata sempre più spietata,
assalti ai negozi, grandiose manifestazioni, scioperi, rivolte,
repressioni della polizia, caratterizzano tragicamente il profilo
sociale di queste importanti realtà del mondo torchiate da un
capitalismo senza più freni. Persino il keynesismo degli anni trenta,
intervenuto come strumento di politica economica in un momento
particolarmente critico per il capitalismo, rappresenta oggi per le
tronfie lobby affaristiche un vecchio oggetto da rottamare. Siamo giunti
all'apogeo della deregulation, del laissezfaire, all'apologia del
libero mercato che fagocita gli Stati e le nazioni e che soggioga i
popoli col pugno di acciaio.
La crisi generale che ha investito il sistema capitalistico mondiale,
per le caratteristiche nuove del contesto storico in cui procede il
declino della borghesia imperialista, ha assunto connotati eccezionali.
Un primo elemento di valutazione ci deriva dal periodo
straordinariamente lungo in cui si trascina la crisi economica, che
costringe la borghesia imperialista alla ricerca frenetica di ogni
possibile tecnica per valorizzare un capitale sempre più ampio e sempre
più sbilanciato nella sua componente fissa. L'ammodernamento degli
impianti richiede infatti masse monetarie sempre più consistenti. La
fusione tra capitale industriale e finanziario e la loro concentrazione
diventano perciò un imperativo per tutte le industrie nella lotta
concorrenziale per mantenere i mercati e per conquistarne altri. Il
risvolto di questa dinamica rende inattuabile ogni ipotesi che voglia
coniugare nell'equilibrio sociale capitale e lavoro. Il paradosso di
considerare la sanità, l'assistenza, la prevenzione e la cura della
salute pubblica, un'attività aziendale da cui estrarre un ricavo, può
bastare per dare la misura della sete di profitto della borghesia. Lo
stesso apparato industriale subisce il sacco dei monopoli, che
abbandonano interi comparti produttivi nei maggiori paesi
industrializzati per dirigersi verso aree a basso costo di produzione,
cosicché impianti per nulla obsoleti vengono chiusi, demoliti o
trasferiti. Il processo di deindustrializzazione procede parallelamente
all'aumento della produttività, indice effettivo di sfruttamento del
lavoro umano. La tendenza all'aumento della disoccupazione e della
povertà trova riscontro nelle cifre delle singole realtà dei maggiori
paesi industrializzati, con la classica forbice che allarga la
differenza tra i redditi dei ceti più ricchi e i redditi del
proletariato, costretto a forme di lavoro sempre più precario e
malpagato.
Un altro elemento che si inserisce nella crisi del capitalismo è la
conformazione del quadro internazionale. L'estensione improvvisa
dell'area di ingerenza dell'imperialismo, dopo la disgregazione
dell'URSS, ha avviato grandi tensioni, ha innescato conflitti armati in
diverse zone dell'Europa e dell'Asia (Tagikistan, Azerbaigian, Georgia,
Moldavia, Cecenia, Armenia, Bosnia, Albania, Jugoslavia) e ha spinto le
potenze occidentali a sbilanciarsi apertamente per pianificare e
realizzare i progetti di occupazione militare diretta anche in queste
aree. L'allargamento della NATO verso Est è già di per sé l'ammissione
esplicita degli intenti dell'imperialismo. Lo si è visto con la barbara
aggressione che hanno subito i popoli dei Balcani ad opera delle forze
imperialiste della NATO. Nell'orbita di gravità dell'Alleanza atlantica
sono entrati tutti i paesi di quello che fu il Patto di Varsavia,
compresa la Russia, all'interno della quale, con la formula della
partnership for peace, anch'essa collegata alla NATO, i militari delle
potenze imperialiste si esercitano con operazioni di pronto intervento.
Il dispositivo bellico del capitale si allarga dunque a macchia d'olio e
mette a segno interventi armati in tutte le aree di crisi, come in
Jugoslavia, dove l'Italia fornisce un appoggio logistico alle mire
egemoniche di diversi paesi imperialisti, Stati Uniti in testa.
Nel sistema dei rapporti internazionali gli USA rivestono ancora il
ruolo di massima potenza, ma appare chiaro che nuove forze si propongono
per il controllo delle risorse naturali sulle aree strategiche del
mondo. Le nazioni sconfitte nell'ultimo conflitto mondiale oggi
influenzano in modo determinante l'economia internazionale e risentono
esse stesse della crisi generale del sistema capitalistico. La Germania,
alle prese con un tasso di disoccupazione che ha un riscontro solo nel
periodo postbellico, svolge in Europa il ruolo di principale potenza
economica ed ha già consolidato una sua vasta zona di influenza, esige
un seggio permanente al consiglio di sicurezza dell'ONU e mobilita
propri contingenti armati con le cosiddette operazioni di peace keeping.
Il Giap pone, scosso da una crisi finanziaria eccezionale, si pone come
seconda potenza economica mondiale, e pretende di rivendicare un
maggior peso politico nelle controversie internazionali. In Asia
l'espansione economica della Cina (nella quale affluiscono massicci
capitali occidentali, permettendo alle multinazionali di realizzare
straordinari profitti per il minor costo di produzione di molti beni di
consumo) accende ulteriori elementi di contrasto commerciale in un
bacino in cui si confrontano altre grandi potenze economiche già
affermate o emergenti. In questo mercato sempre più affollato di
"venditori di merci" gli USA assumono sempre più la veste di consumatori
piuttosto che di produttori (ne è prova il pesante deficit commerciale
che viaggia intorno ai 350 miliardi di dollari). Rimane a questa nazione
la leadership nei settori più sofisticati della scienza e della
tecnologia, ma, soprattutto, detiene saldamente il ruolo di gendarme
mondiale, al quale non rinuncia, pur in presenza al proprio interno di
una situazione sociale gravissima, continuando ad orientare una parte
consistente della spesa pubblica al mantenimento del suo potente
apparato militare. In questo scenario di guerra allo stato latente (ma
che già preannuncia uno scontro aperto di grandi dimensioni), il
capitale, proseguendo senza sosta nella sua folle politica di
sfruttamento degli uomini e delle risorse naturali, attesta che è in
corso un'altra spartizione del mondo.
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