WikiRebel



WikiRebel is Rebel, Wayward, Insurgent, Mutinous, Untamable


lunedì 4 marzo 2019

Progetto di Programma del Partito Comunista Italiano (ricostituito)

Pubblichiamo stralcio dal Progetto di Programma del Partito Comunista Italiano (ricostituito) elaborato dalla Commissione per la elaborazione e la stesura del progetto di programma del partito comunista, a cura di Questioni del Socialismo, 2001

La crisi generale del sistema capitalistico e il declino della borghesia imperialista Nel mondo del lavoro, dove si crea la ricchezza materiale per lo sviluppo sociale ed economico, le contraddizioni del capitale si scoprono rovinose. Se le statistiche insistono sul recupero della produttività, che tradotto in termini sociali corrisponde alla diminuzione dell'occupazione e all'aumento dello sfruttamento, per contro la dinamica salariale e delle pensioni rimane al di sotto della percentuale di inflazione:cresce il numero degli infortuni mortali e degli invalidi permanenti da lavoro; aumenta la massa dei precari, dei sottopagati, dei lavoratori senza la minima tutela. La campagna martellante sulla flessibilità del mercato del lavoro e sulla competitività delle imprese, è la metafora della dichiarazione di guerra del padronato contro i diritti dei lavoratori, in difesa dei quali i sindacati oppongono solo una tenue resistenza verbale. La politica economica dei governi, siano essi marcatamente moderati o di profilo riformista, si può ricondurre. con sfumature diverse, agli interessi della borghesia imperialista. In queste condizioni, i governi sono destinati a rimanere ostaggio delle multinazionali e delle banche, e, proporzionalmente al crescere dello strapotere dei monopoli, tendono a diventarne direttamente l'esecutivo politico. Il processo di acutizzazione della crisi non può estendersi ulteriormente nell'ambito delle attuali forme istituzionali, del sistema normativo e rappresentativo. Il capitale ha bisogno di liberarsi da ogni sorta di vincolo per potersi espandere, per poter soggiogare il proletariato, mentre nell'ordinamento sociopolitico attuale vede ormai una forte limitazione. La corsa al superamento dello stato sociale, alla deregolamentazione, alla ricerca di formule istituzionali per mantenere al potere una classe screditata e parassitaria, cresce parallelamente allo sviluppo della crisi socioeconomica. La fine dell'URSS ha generato una violenta scossa nell'assetto socioeconomico del mondo intero e gli effetti a catena non hanno tardato a manifestarsi: una crisi profonda, generale, ha investito immediatamente un gran numero di paesi; il movimento di liberazione nazionale ha subito uno sbandamento grave dall'Africa all'America Latina; il capitalismo ha messo in moto un processo di ristrutturazione per adeguare le regole del libero mercato alla nuova situazione internazionale; diversi partiti di tradizione operaia, formalmente antagonisti al sistema capitalistico, hanno completato definitivamente la metamorfosi in partiti di stampo liberale. Con l'avallo della sinistra riformista sono state varate una serie di leggi che colpiscono le pensioni ed erodono i diritti dei lavoratori, i bilanci dello Stato sono stati tagliati a scapito della previdenza, delle prestazioni sanitarie e del diritto all'istruzione. Il welfare, nonostante i dati diffusi sulla crescita del prodotto interno lordo, nonostante gli incrementi dei profitti delle imprese, nonostante la produzione industriale registri costanti aumenti, nonostante la disponibilità liquida di enormi capitali che si trasferiscono da una borsa all'altra, pare sia diventato un lusso che i paesi più ricchi del mondo non possono permettersi! Tra le questioni emergenti del processo di disgregazione sociale, si distingue la questione dell'emigrazione, lo spostamento di masse di persone dai paesi sottosviluppati verso i paesi industrializzati. E' un problema che implica anche aspetti di ordine pubblico, ma le cause e gli effetti pongono sotto accusa il caotico sviluppo del capitalismo. Oggi l'immigrato è semplicemente uno strumento a basso costo da introdurre nel ciclo produttivo (o da sfruttare ignobilmente come oggetto di "piacere" per i cittadini alienati dal grigiore culturale del capitale). La preoccupazione dei neomalthusiani di controllare "la grande invasione" è controbilanciata dalla considerazione che il mercato delle braccia offre manodopera a buon prezzo. Lo squilibrio tra paesi industrializzati e paesi sottosviluppati produce un flusso simmetrico di capitali e forza-lavoro che arricchisce le multinazionali e trasforma i popoli in merce. L'esistenza di paesi economicamente sottosviluppati, afflitti da situazioni di miseria endemica, è il presupposto necessario perché gli Stati imperialisti possano sottrarre risorse umane e materiali, imporre monocolture, attuare una politica creditizia soffocante, impedire uno sviluppo equilibrato ecologicamente compatibile, schiacciare con la repressione ogni movimento di protesta contro le condizioni inumane di vita e di lavoro, rientra precisamente nel metodo di dominio dell'imperialismo che mantiene questi paesi in uno stato di assoggettamento paralizzante. Nei paesi industrializzati la situazione di tensione sociale origina grandi movimenti spontanei: operai dell'industria che lottano per la salvaguardia dell'occupazione e per gli aumenti salariali, lavoratori a riposo che protestano contro l'erosione del potere d'acquisto delle pensioni; disoccupati organizzati che invocano una politica per la creazione di posti di lavoro; studenti che manifestano per la difesa del diritto all'istruzione; centri sociali e associazioni di varia natura che contestano il sistema esprimendo il forte disagio di periferie urbane degradate; ecologisti che esigono una seria attenzione ai problemi ambientali; agricoltori e allevatori che denunciano con rabbia la politica delle Iobby dell'alimentazione. In questa situazione di malcontento generalizzato si inseriscono alcuni partiti politici il cui intento è quello di dirottare le masse verso obiettivi completamente distorti. Tutti i mezzi che la classe dominante utilizza per condizionare il proletariato, per impedirgli di reagire razionalmente di fronte al progressivo deterioramento dei rapporti sociali, possono solo rallentare ma non impedire il processo di decadimento della formazione capitalistica che già volge al tramonto. Nel momento in cui i governanti non saranno più in grado di governare, e i governati si porranno la questione di sostituire i governanti e cambiare modo di governare, la crisi del capitalismo avrà raggiunto il suo culmine. La rivoluzione tecnica e scientifica nell'ambito del dominio della borghesia imperialista, oggi dedita solamente al conseguimento del massimo profitto economico al di là del lo sviluppo necessario e compatibile con le risorse naturali che offre l'ecosistema, attrezza incessantemente l' imperialismo per la sua brama insaziabile di potere e di conquista, promuove la crisi generale del sistema, incapace di governare le forze centrifughe che esso stesso alimenta. A questo punto una domanda è d'obbligo: hanno fondamento le ragioni di coloro che oggi ritengono il capitalismo un sistema sociale prossimo al collasso? Non vorremmo commettere lo stesso errore di chi, nel movimento comunista internazionale intorno alla metà del secolo appena trascorso, era convinto che il capitalismo stesse per crollare. Una tale convinzione, alimentata da una sorta di determinismo filosofico, oltre a rivelarsi errata dal punto di vista temporale, ebbe delle conseguenze assolutamente negative nella strategia e nella tattica dei partiti comunisti sia al potere che all'opposizione. Tuttavia, oggi il quadro della situazione si presenta sufficientemente chiaro e abbastanza definito. Non si tratta di rilevare semplicemente i fatti, ma di argomentare come dietro a questi fatti si muova la società e in quale direzione. Nei paesi del capitale, dove la cibernetica, la robotica, l'informatica e la telematica trovano larga applicazione nei processi di produzione, il proletariato ha raggiunto una preparazione tecnica relativamente elevata. L'allargamento della produzione di massa, la disponibilità pressoché illimitata di ogni genere di consumo, rende apparentemente credibile la diffusione di un benessere accessibile alla maggioranza delle masse. Questo è il quadro che appare immediatamente alla superficie della società dei consumi. Ma come ha insegnato Marx, ogni scienza sarebbe superflua se i fenomeni coincidessero direttamente con la loro essenza. Limitarsi a questo tipo di valutazioni, porrebbe infatti l'osservatore in un angolo visuale angusto, poiché analizzerebbe un complesso di fenomeni in modo acritico, attribuendo al capitalismo una sembianza statica ed uniforme, che negherebbe lo stato attuale della situazione generale a livello mondiale. In sostanza, il capitalismo "dal volto umano" (se mai è esistito) è scomparso per sempre, con buona pace dei vecchi e nuovi riformisti che tentano disperatamente di temperare la barbara anarchia del libero mercato. La sete di profitto dei monopoli, ovvero la sottomissione selvaggia dell'uomo agli interessi del capitale, non conosce pudore, come dimostra la vergognosa mercificazione di centinaia di milioni di bambini. Con l'avanzamento rivoluzionario della scienza e della tecnica, che permette alla produzione di immettere sul mercato masse sempre crescenti di prodotti, le crisi da sovrapproduzione non possono che essere sempre più acute e profonde. La tensione di tutte le contraddizioni generate da un modo di produzione il cui obiettivo è solo il profitto (ovvero la creazione dei valori di scambio) converge ineluttabilmente verso un punto di rottura, chiamando il proletariato ad assumere il ruolo di classe rivoluzionaria, che dirige la trasformazione verso un sistema sociale nuovo, proiettato necessariamente alla soppressione della classe degli sfruttatori. Anche se il capitale è riuscito temporaneamente a guadagnare l'arretramento delle posizioni già conquistate dal proletariato, tutte le gravi e insanabili contraddizioni che ne determinano lo stato di strutturale instabilità permangono in vita nella loro carica dirompente. Possiamo affermare che la controrivoluzione, cioè la forza della reazione borghese che ha arginato la spinta rivoluzionaria del proletariato, ha sospinto tali contraddizioni ad un livello ancora più acuto, poiché ha reso macroscopico il solco di disparità tra gli stati capitalistici più avanzati e il resto del mondo; ha elevato all'ennesima potenza il carattere usuraio del capitale finanziario; ha accentuato la crisi socioeconomica nei paesi di vecchia industrializzazione con l'aumento della disoccupazione, del depauperamento del proletariato, del tracollo inesorabile del sistema di tutela sociale; ha trasformato i paesi che hanno abbandonato il socialismo per restaurare il capitalismo, in terra di razzie per bande di affaristi, avventurieri e malavitosi; ha aperto altri conflitti armati in diverse aree del mondo. Nel volgere di un tempo relativamente breve il capitalismo ha trasformato l'intero pianeta in un enorme mercato per il reperimento delle materie prime e per lo sbocco dei prodotti finiti, in una corsa esasperata verso il massimo profitto, lasciando dietro di sé una tremenda scia di sangue. E ciò all'unico scopo di asservire, sottomettere, schiavizzare popoli e nazioni. Il leitmotiv del capitalismo contemporaneo rimane sostanzialmente identico, non dissimula la legge del profitto che spinge il capitalista ad estorcere il massimo valore aggiunto al lavoro dell'operaio, ad escogitare sempre nuove soluzioni per contrastare la caduta tendenziale del saggio di profitto, a considerare l'essere umano un accessorio del ciclo di produzione, alla stessa stregua della macchina alla quale lo incatenerebbe per un arco di tempo indeterminato se limiti fisiologici e anagrafici non lo impedissero. Capitalisti e proletari sono perciò su piani di confronto inconciliabili, e la lotta di classe, quale che sia la forma e l'intensità che può assumere in un dato momento storico, non può essere soppressa nel capitalismo poiché coincide col carattere antinomico di questo modo di produzione. L'epoca dell'imperialismo, a dispetto della fraseologia altisonante diffusa dagli ideologi della borghesia sul valore universale della democrazia politica, lega indissolubilmente la pratica rivoluzionaria della classe operaia alla politica reazionaria delle classi dominanti. Nessun elemento di novità, anche e soprattutto alla luce dei fatti che in questi ultimi anni hanno stravolto i rapporti di forza tra capitale e lavoro, può negare questo rapporto antitetico, che al contrario trova conferma nella logica binaria rivoluzione/controrivoluzione proprio nel dispiegamento palese della reazione nei paesi che avevano scalzato la borghesia come classe dominante. Il termine globalizzazione oggi è comunemente accettato come sinonimo di interconnessione stretta tra le economie di tutti i paesi. Marx ed Engels, già nel Manifesto del 1848, avevano colto la proporzione globale dello sviluppo capitalistico. Nella fase attuale la dimensione planetaria di tale fenomeno segna marcatamente la posizione subordinata dei governi nazionali agli interessi dei capitali finanziari internazionali, la cui politica di ingerenza diretta si sostituisce gradualmente e palesemente agli organi del potere formale. Il capitale continua incessantemente nell'opera di demolizione di ogni confine nazionale, ridisegnando brutalmente le mappe geopolitiche del mondo, abbatte ogni barriera che possa ostacolare il suo moto tentacolare. Le nuove forme di accordi economici già realizzati, sottolineano la direzione verso la quale i gruppi monopolistici intendono procedere per ritagliarsi ulteriori spazi di azione, affrancandosi dai vincoli normativi in materia di trasferimenti finanziari e di legislazione del lavoro. La stessa Unione Europea, concepita sugli accordi economici e finanziari di Maastricht e sulla moneta unica (che si propone come antagonista al dominio mondiale del dollaro statunitense e dello yen giapponese) si configura come una struttura sovranazionale dei poteri delle lobby bancarie più influenti sotto le insegne dell'aquila imperiale della Bundesbank. Responsabili in pectore dell'UE sono oramai il presidente della banca centrale e il ministro delle finanze della Repubblica Federale di Germania. Le borse valori sono il sismografo che registra le oscillazioni dello stato dell'economia che rileva le avvisaglie di un' onda sismica che non potrà non abbattersi sui paesi capitalistici più industrializzati. Una massa abnorme di capitale monetario vaga per i mercati mondiali alla ricerca del capital gain che può solo ottenere con lo spietato attacco al lavoro. Il volume dei capitali che viaggia da un capo all'altro dei continenti, in forma di lucrosi investimenti industriali e di flussi finanziari che muovono indici borsistici che si impennano o crollano, denota inequivocabilmente quale è la strada che percorre la ricchezza prodotta dai lavoratori. Sempre più frequentemente si raccolgono le preoccupazioni degli stessi economisti della borghesia, che avanzano il timore che si possa innescare una reazione a catena incontrollata, un crac simile a quello che nel '29 avviò la fase di grande depressione del capitalismo prima della seconda guerra mondiale. Significativo del clima di incertezza è l'andamento di un indice borsistico separato, il Nasdaq, che avrebbe lo scopo precipuo di evidenziare l'evoluzione della new economy, un criterio moderno di gestire gli affari attraverso le grandi potenzialità che offrono i sistemi integrati telematici. Ma aver dotato il capitalismo di un "propulsore turbo" non è sufficiente per mascherare lo squilibrio finanziario ed evitare le manovre speculative che colpiscono le borse, anche se gli specialisti insistono sulla 'volatilità" del valore dei titoli, per giustificare la crisi del settore. Le recenti crisi finanziarie di Messico, Russia, Brasile e di altre importanti economie del sud-est asiatico hanno assunto, nel volgere di breve tempo, estensioni vastissime; hanno evidenziato la punta dell'iceberg di un fenomeno di proporzioni larghissime. Gli istituti di credito internazionali, con a capo il FMI, una emanazione diretta dei maggiori paesi industrializzati, finanziano le banche centrali costrette ad intervenire a sostegno delle divise forte mente svalutate per impedire il tracollo generalizzato delle proprie economie. Le vittime innocenti di questo ignobile traffico di capitali dei gruppi affaristici sono i popoli, i lavoratori, i proletari, che vedono drasticamente ridursi il loro tenore di vita per le manovre dei governi centrali che, per volere del FMI, adottano misure restrittive, tagliando il bilancio dello Stato, privatizzando e liberalizzando il "mercato del lavoro". Guerre civili, criminalità organizzata sempre più spietata, assalti ai negozi, grandiose manifestazioni, scioperi, rivolte, repressioni della polizia, caratterizzano tragicamente il profilo sociale di queste importanti realtà del mondo torchiate da un capitalismo senza più freni. Persino il keynesismo degli anni trenta, intervenuto come strumento di politica economica in un momento particolarmente critico per il capitalismo, rappresenta oggi per le tronfie lobby affaristiche un vecchio oggetto da rottamare. Siamo giunti all'apogeo della deregulation, del laissezfaire, all'apologia del libero mercato che fagocita gli Stati e le nazioni e che soggioga i popoli col pugno di acciaio. La crisi generale che ha investito il sistema capitalistico mondiale, per le caratteristiche nuove del contesto storico in cui procede il declino della borghesia imperialista, ha assunto connotati eccezionali. Un primo elemento di valutazione ci deriva dal periodo straordinariamente lungo in cui si trascina la crisi economica, che costringe la borghesia imperialista alla ricerca frenetica di ogni possibile tecnica per valorizzare un capitale sempre più ampio e sempre più sbilanciato nella sua componente fissa. L'ammodernamento degli impianti richiede infatti masse monetarie sempre più consistenti. La fusione tra capitale industriale e finanziario e la loro concentrazione diventano perciò un imperativo per tutte le industrie nella lotta concorrenziale per mantenere i mercati e per conquistarne altri. Il risvolto di questa dinamica rende inattuabile ogni ipotesi che voglia coniugare nell'equilibrio sociale capitale e lavoro. Il paradosso di considerare la sanità, l'assistenza, la prevenzione e la cura della salute pubblica, un'attività aziendale da cui estrarre un ricavo, può bastare per dare la misura della sete di profitto della borghesia. Lo stesso apparato industriale subisce il sacco dei monopoli, che abbandonano interi comparti produttivi nei maggiori paesi industrializzati per dirigersi verso aree a basso costo di produzione, cosicché impianti per nulla obsoleti vengono chiusi, demoliti o trasferiti. Il processo di deindustrializzazione procede parallelamente all'aumento della produttività, indice effettivo di sfruttamento del lavoro umano. La tendenza all'aumento della disoccupazione e della povertà trova riscontro nelle cifre delle singole realtà dei maggiori paesi industrializzati, con la classica forbice che allarga la differenza tra i redditi dei ceti più ricchi e i redditi del proletariato, costretto a forme di lavoro sempre più precario e malpagato. Un altro elemento che si inserisce nella crisi del capitalismo è la conformazione del quadro internazionale. L'estensione improvvisa dell'area di ingerenza dell'imperialismo, dopo la disgregazione dell'URSS, ha avviato grandi tensioni, ha innescato conflitti armati in diverse zone dell'Europa e dell'Asia (Tagikistan, Azerbaigian, Georgia, Moldavia, Cecenia, Armenia, Bosnia, Albania, Jugoslavia) e ha spinto le potenze occidentali a sbilanciarsi apertamente per pianificare e realizzare i progetti di occupazione militare diretta anche in queste aree. L'allargamento della NATO verso Est è già di per sé l'ammissione esplicita degli intenti dell'imperialismo. Lo si è visto con la barbara aggressione che hanno subito i popoli dei Balcani ad opera delle forze imperialiste della NATO. Nell'orbita di gravità dell'Alleanza atlantica sono entrati tutti i paesi di quello che fu il Patto di Varsavia, compresa la Russia, all'interno della quale, con la formula della partnership for peace, anch'essa collegata alla NATO, i militari delle potenze imperialiste si esercitano con operazioni di pronto intervento. Il dispositivo bellico del capitale si allarga dunque a macchia d'olio e mette a segno interventi armati in tutte le aree di crisi, come in Jugoslavia, dove l'Italia fornisce un appoggio logistico alle mire egemoniche di diversi paesi imperialisti, Stati Uniti in testa. Nel sistema dei rapporti internazionali gli USA rivestono ancora il ruolo di massima potenza, ma appare chiaro che nuove forze si propongono per il controllo delle risorse naturali sulle aree strategiche del mondo. Le nazioni sconfitte nell'ultimo conflitto mondiale oggi influenzano in modo determinante l'economia internazionale e risentono esse stesse della crisi generale del sistema capitalistico. La Germania, alle prese con un tasso di disoccupazione che ha un riscontro solo nel periodo postbellico, svolge in Europa il ruolo di principale potenza economica ed ha già consolidato una sua vasta zona di influenza, esige un seggio permanente al consiglio di sicurezza dell'ONU e mobilita propri contingenti armati con le cosiddette operazioni di peace keeping. Il Giap pone, scosso da una crisi finanziaria eccezionale, si pone come seconda potenza economica mondiale, e pretende di rivendicare un maggior peso politico nelle controversie internazionali. In Asia l'espansione economica della Cina (nella quale affluiscono massicci capitali occidentali, permettendo alle multinazionali di realizzare straordinari profitti per il minor costo di produzione di molti beni di consumo) accende ulteriori elementi di contrasto commerciale in un bacino in cui si confrontano altre grandi potenze economiche già affermate o emergenti. In questo mercato sempre più affollato di "venditori di merci" gli USA assumono sempre più la veste di consumatori piuttosto che di produttori (ne è prova il pesante deficit commerciale che viaggia intorno ai 350 miliardi di dollari). Rimane a questa nazione la leadership nei settori più sofisticati della scienza e della tecnologia, ma, soprattutto, detiene saldamente il ruolo di gendarme mondiale, al quale non rinuncia, pur in presenza al proprio interno di una situazione sociale gravissima, continuando ad orientare una parte consistente della spesa pubblica al mantenimento del suo potente apparato militare. In questo scenario di guerra allo stato latente (ma che già preannuncia uno scontro aperto di grandi dimensioni), il capitale, proseguendo senza sosta nella sua folle politica di sfruttamento degli uomini e delle risorse naturali, attesta che è in corso un'altra spartizione del mondo.

Nessun commento:

Posta un commento