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“Anime perse” nel freddo caldo. Roma è lastricata dal dolore fisico e sangue di cento feriti, tra “manifestanti” e “forze dell'ordine”. La battaglia intorno ai palazzi del “potere” serve a rastrellare oltre cinquanta “fermati” che rischiano l'arresto. “Anime perse”, libere e circondate. Un'intera giornata di rabbia e terrore negli occhi, di scontri, di distruzione. Dal Pronto soccorso del “Fatebenefratelli”, sull'isola tiberina, prima d'essere “fermata”, Silvia narra: “Tu da qua non te ne vai, tu vieni via con me. Mi dice mentre continuava a manganellarmi sulla testa”. Verso le 15, senza alcun motivo, arriva l'ordine: ora vanno caricati. Da Piazza del Popolo, non hanno avuto il tempo di riparare, di sottrarsi alla mattanza. Aggrediti. “Anime perse” con la gioia strozzata in gola. Dopo i punti di sutura e le lastre, in Questura in “stato di fermo”. “Anime perse”, inseguite dai cani. Bagliori di guerriglia urbana sui quali si accanisce chi detiene il “monopolio della forza”. Silvia, dolorante alla testa e con occhi rossi ancora determinati, dice: “non avevamo fatto assolutamente nulla”. Intorno esplodono bombe carta, incendi divampano, manganelli volteggiano e assestando colpi verso chiunque. Nell'acre fumo che si spande, pistole vengono impugnate. “Anime perse”, ben riconoscibili, volutamente confuse con indistinta teppaglia, perché l'altare del martirio chiede il suo sacrificio. Devastazioni di vetrate di banche, roghi d'auto e cassonetti. Fuoco e poi ferro. Montecitorio assediato da decine di migliaia di studenti che si sono dati appuntamento ai Fori imperiali dopo essere partiti dalla Università in subbuglio non solo della capitale. Piazza del Popolo, via del Corso, piazzale Flaminio, un unico campo di battaglia di “multietniche anime perse”. Cariche a ripetizione. Barricate. Poi, in campo aperto, si cerca il contatto. Si arretra e s'avanza, senza più paura. La vita è ora. La dignità è ora. Una rabbia mai vista, dilagante, condivisa. “Anime perse” colme di odio gioioso. Nutriti cortei di oppositori si congiungono in piazza Venezia. Sono appena le 12:30. Linguaggi diversi, variegate critiche allo stato presente di cose s'amalgamano, partecipando all'esperienza comune della contestazione e della rivolta. “Parlano tra loro” FIOM, Centri sociali, cittadini aquilani, i “No Dal Molin”, i “No TAV”, studenti. “Anime perse”, una prospettiva, un eccezionale “colpo d'occhio” del futuro. Distesa imponente di persone, bandiere d'ogni colore, anarchiche. La “zona rossa” è osservata con sdegno. I “blindati”a difesa. In via del Corso e via del Plebiscito cala il silenzio. In alto l'elicottero delle Polizie; con il mulinare sinistro delle sue pale incombe sulla calma della moltitudine. Si cercano varchi, con i caschi in testa, urlando le proprie ragioni. Il passo del corteo aumenta. “Anime perse”, protagonisti d'una bella aggressività. Superato è il varco di Torre Argentina, libero e ignorato; trascurato il postribolo di Palazzo “Grazioli”, ora, si devia in Corso Rinascimento, verso il Senato. Al limitare, sbarramento militare. Pietre volano contro. Bastoni impugnati. Salde nell'arena, “anime perse” brillano di luce propria. Le forze dell'ordine rendono l'aria irrespirabile. Nelle tossiche nebbie, caricano a caccia di bottino umano. Trascinano a terra i corpi degli oppositori vilipesi dalle brutali previste manganellate. Il controllo della strada è stato violato. Il controllo della strada è ripreso, a colpi in testa. La sassaiola prosegue. Una battaglia, condotta con i nervi scoperti, che dura mezz'ora. Minacce armate generalizzate cercano di spegnere mille fuochi che ovunque s'accendono. Roma è un'eco vulcanica. La ribollente fiumana umana, dai molti rivoli, si ricompone, invade il Lungotevere, attraversa il tratto di Tor di Nona, applaude i bambini d'una scuola elementare che da una terrazza gridano convinti “abbasso la Gelmini”. “Anime perse” nel tramonto che prepara l'aurora desiderata. Lo scontro finale è a Piazza del Popolo. Sono le 14:45. Ai margini della piazza si prende fiato. Alcuni rincuorano, audaci riprendono la marcia, si staccano, corrono con energia. Vogliono arrivare a Montecitorio. Oltre un'ora di scontri. “Anime perse” dall'energia contaminate in grado d'accerchiare divise grigioverdi, sopraffarle, privarle di radio e manette. Vengono estratte pistole dalle fondine. Le dita sono alquanto tremolanti. Le feroci guardie, ridotte a prede, vengono infine liberate dalla stretta. Sono respinti gli assalti. Oggi può bastare. Le guardie si rifugiano nei “blindati”. Fiamme avvolgono mezzi d'ordinanza ed alte colonne di fumo dipingono l'evento che, alle 15:30, verso Piazzale Flaminio riversa un'altra calda onda che dilaga. Incidenti a Prati, in via degli Scipioni e Marcantonio Colonna, con sassaiole che spazzano la stagnante aria; rifugi dentro Villa Borghese. Zona rossa immacolata, come stabilito. Lo scuro della sera s'avvicina. Si, oggi può bastare. La prossima volta la moltitudine in rivolta prenderà a calci nel culo, come accade nel circo con il clown, quei fetidi guitti che parlano di “ignobile episodio, espressione di una logica criminale”. La mancanza di reddito e dei diritti non è un problema confindustriale o statale. È “il” problema delle moltitudini. La soluzione sta nelle loro mani, nella sensata forza distruttiva del rifiuto. Nell'attaccare e distruggere simboli e “cose”. Nell'esaltare la forza distruttiva del “no”. Nel modo compatto di stare in piazza, antagonisticamente unite. Ovunque presenti ed attive, dove c'è rivolta contro il capitalismo, il potere, la proprietà. Ovunque la violenza non sia considerata un problema morale, ma semplicemente la “vita sociale storicamente determinata”, “puro mondo” nel quale siamo “gettati” che le vigenti forme di illegalità chiamano «democrazia».
Link: “Lo specchio deformante si è rotto”
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